L'irragionevole sfiducia
La Chiesa e la scienza
Joseph Ratzinger continua a fare il teologo. Ma ciò che solleva perplessità negli ambienti intellettuali è ch’egli da papa esprima il suo pensiero anche sui poteri e i limiti della ragione, e dica la sua non solo sul posto e sul valore della scienza, ma anche sull’ambito di legittimità e sulla correttezza dei metodi della ricerca scientifica. Ripropone naturalmente tesi già esposte in passato. E già contestate. In sostanza lamenta che con la sua scienza l’uomo manipola la creazione. E rifiuta il sospetto che l’atteggiamento critico nei confronti della scienza sia espressione moderna di quell'oscurantismo che ancora permarrebbe nella Chiesa. Continua a parlare, come ha fatto da cardinale, di debolezza essenziale della ragione – incapace di arrivare da sola alla verità -, supponendo che con questo argomento si possa far posto alla fede, la sola, a suo avviso, capace di attingere le verità prime ed ultime: la verità assoluta. In passato, sulla debolezza della ragione ha chiamato a supporto fior di scienziati, filosofi, logici, epistemologi: Immanuel Kant, Ernst Bloch, Kurt Gödel, Alfred Tarski, Carl Freidrich Von Weizsacker, Paul K. Feyerabend, tanto per citare. E sulla loro scorta, oggi fa la resa dei conti su parecchie acquisizioni: dall’evoluzionismo alla genetica, ed anche alla cosmologia contemporanea. No – si preoccupa poi di chiarire – il suo non è rifiuto della razionalità ma dell’enfatizzazione della ragione conoscente; si vuole solo che si riconosca che la razionalità scientifica deve iscriversi in una ragionevolezza più grande in cui ha cittadinanza anche la fede. Anzi ne è signora.
E a torto respinge le accuse di chi vede in questo atteggiamento l’eco tardiva di problemi antichi. Anzi vecchi. Gli stessi della questione galileiana. Tommaso Campanella, monaco ribelle, inviso al Papa, ma intelligenza fervida e geniale, entrando nella discussione sulla compatibilità della dottrina copernicana con la Sacra Scrittura, nel 1616 scrisse l’ Apologia pro Galilaeo col proposito di «provare teologicamente che il modo di filosofare di Galilei è più conforme alla divina Scrittura che non lo contrario». Egli insomma non intendeva difendere le tesi eliocentriche del «mathematicus florentinus». Contestava che le si possano confutare con argomentazioni tratte da interpretazioni bibliche. La difesa di Galilei si articolava intorno a quattro tesi. 1. «Né Mosè, né il signore Gesù ci hanno manifestato la fisica e l’astronomia, ma Dio ha abbandonato il mondo all’indagine dell’uomo, affinché attraverso le cose create intendessimo le cose invisibili; essi ci hanno invece insegnato la vita beata e i dogmi soprannaturali, cui non bastava il lume naturale». 2. «Chi vieta ai cristiani lo studio della filosofia e delle scienze, vieta loro di essere cristiani»; «la religione cristiana non teme di essere scoperta come falsa»; per questo addirittura «raccomanda ai suoi seguaci lo studio di tutte le scienze». 3. «Chi, abusando dell’autorità della fede cristiana, impugna i filosofi che dimostrano le loro tesi con ragioni ed esperimenti, … danneggia se stesso, nuoce alla fede e si attira il ridicolo». 4. «Non si deve condannare o rimuovere da ulteriori speculazioni lo studioso che, con animo desideroso non di impugnar la fede ma di scoprire il vero, va indagando se le dottrine riconosciute corrispondano alla verità».
Insomma, Dio ha dato all’uomo sensi e anima razionale e l’uomo rispetta Dio e onora la religione cristiana attenendosi alla sua sensibilità e rispettando la sua ragione. La verità della scienza e quella della Bibbia non possono contraddirsi: «il libro della sapienza di Dio creante – ricorda Campanella riprendendo un tema di Galilei – non discorda dal libro della sapienza di Dio rivelante»; pertanto «coloro che pretendono vietare dal cristianesimo le scienze e le speculazioni e indagini naturali ed astronomiche o hanno un erroneo concetto del cristianesimo o danno agli altri motivo di sospettare di esso».
Dunque, per il frate filosofo il cristianesimo non può e non deve temere la ricerca scientifica. Ed è un delitto tentar d’impedirla. Peraltro certe formulazioni teologiche, che forzano il senso del Libro Sacro, sono molto più distanti dal vero che non certe temute concezioni scientifiche che tuttavia «attingono alla natura che è il libro di Dio».
Certo, la Chiesa oggi non oppone impedimento materiale all’indagine intorno alla natura. Non ne ha gli strumenti. Ma il suo veto conta. Però oggi come ieri la miope difesa di certe tesi teologico-filosofiche è incomprensibile e può ritorcersi contro chi la fa. Perché contestare Galilei? si chiedeva Campanella. In tutta Europa è stato «adottato con entusiasmo il telescopio e questa astronomia». Ora, se la sua teoria risulterà falsa, non durerà. Ma se risulterà vera, saranno guai seri. Ne deriverà «irrisione alla fede romana». Parole su cui riflettere. Un monito per chi anche oggi pensa che sia la scienza il vero pericolo per la fede, e vede nella razionalità tecnologica le condizioni dell’abbandono della religione cristiana. Se la Parola di Dio non riesce a scendere nei cuori e nelle intelligenze, non è certo perché si è esaminata la luna col cannochiale. Ed è almeno ingenuo credere di poter ricondurre gli uomini alla fede e alla pratica religiosa ponendo confini alla ricerca. Ci vuole ben altro. E dunque, non senza ragione il fisico Tullio Regge commentava criticamente le tesi espresse da Karol Wojtyla nell’enciclica Fides et ratio. E se oggi l’astrofisico Margherita Hack e il matematico Piergiorgio Odifreddi, tra gli altri, esprimono il loro dissenso rispetto alle recenti dichiarazioni papali, non è tanto perché non riescono a digerire quanto viene enunciato circa il darwinismo, o in merito alla ricerca sulle cellule staminali. E forse neanche per difendere la dignità del lavoro scientifico. Ma perché vi colgono un’irragionevole sfiducia nella ragione.